giovedì 23 agosto 2007

Tutum tutum


Quel tutum tutum

che batte nella testa,
quel tutum che viene dal cuore
e dice che ti amo, ti amo, ti amo,
ti amo, ti amo…
ti amo …ti..a…mo…am..o
a………
Io dei santi sto imitando il calvario,
l’ingiusta condanna porto sulle spalle
e perché ?
per chi ?
per te ?
fossi matto !

mercoledì 8 agosto 2007

Inconcludenza



Inconcludenza di mani che cercano
la monotonia dei pensieri
che vanno
silenziosi
come fiori appassiti
verso teorie di pena.
A nulla vale in ricordo degli inganni...
tutto è dipinto di inconcludenza.
1972

NOTTURNO (infinito universo)


Scruto

davanti a questo immenso infinito

l'egoismo del giorno

1973

domenica 29 luglio 2007

Nel buio di una notte senza stelle



Nel buio di una notte senza stelle,
la notte del non senso, un vento,
è una parola, batte l’uscio del niente.

"Apri ! " chiede il vento
e scuote la stanchezza dei giorni,
entra nell’anima e guarda dentro.

È la pietà che manca
e sento cigolare nei cardini i limiti,
la fragilità dell’essere e dell’esistenza .

Parole dolci invadono la mente
ma il vento insiste e scuote,
ora leggero, membra stanche, ormai vinte.

Guardo l’Immenso nell’inutile difesa.
Che vuoi da me ? chiedo….
dammi pace …. Vento
non vedi !
non reggo il tempo ….. ed è già sera;
un domani che cade addosso sui giorni
che si succedono.
E scompare !

Dovrò lasciare per non risorgere ?
Sento il peso insostenibile di scelte
che pensavo leggere e sono qui,
davanti al mistero della vita,
in questa notte senza stelle.

Che vuoi da me ?
Porto la gioia dell’amore donato, vissuto,
e amare è stato come un sogno;
ricordo dell’innocente bambino
che giocava con le farfalle.

Porto il dolore dei lutti e di me
che lotto per raggiungere i limiti
del tanto che credevo
per poi scoprire la fragilità e l’inquietudine
dell’anima che preme
e cerca la luce.

Che vuoi da me, infine,
Vento che batti le stanze …..
di più non potevo fare,
di più non di certo !

Resta un ultimo traguardo :
accendere le stelle e tornare ad amare !
Amare i giorni che restano
come un dono prezioso
Amare le salite e le discese,
le tranquille ombrose pianure e ,
nel tempo che resta,
il volo di una farfalla.
(2006)

sabato 21 luglio 2007

Sonnecchioso e vinto


Nè rose, nè aurore
sbocceranno
ma soffi di dolore
simili a vento gelido...

Ingannare tutto e tutti
guardare nell'animo,
trascinarci dentro,
sonnecchiosi e vinti
per non sentire il bisogno
neanche di piangere
nell'inutile sfogo
la luce spenta
-----------------------------
.
.
Le parole che mi invii lasciano una nostalgia di orizzonti lontani... il bisogno di dare un senso al vivere lo portiamo dentro e la natura ci aiuta a capire quanta bellezza si cela in noi... fa parte del nostro essere degli eterni cercatori di vita, assetati di un barlume di verità per la quale saremmo disposti a impiegare molte energie. Quella domanda perenne che ci abita trova risposta nel nostro abitare la vita... è così che alcune persone, quando le incontri, fanno parte di te e le ritrovi presenti nell'anima. Il tuo nome e il tuo volto sono sempre con me; è straordinario come i legami e le storie si intreccino e in maniera inattesa e inusuale si aprano nuovi orizzonti sconosciuti. Pensiamoci così, attenti a cogliere i sentieri che Dio apre davanti ai nostri passi.Che tu possa sentire in questi giorni la tenerezza della Sua misericordia che allevia le pene e le preoccupazioni; auguri per i tuoi lavori e per te: che le tue giornate siano un bouquet di fiori da offrire all'Amore.
.
buona giornata tua sorella teresa

lunedì 16 luglio 2007

Breve





Questo luogo ha il sapore di una terra promessa raccontata lentamente, una sera d’inverno, quando il freddo rintana nelle case.
I paesi corrono sommersi tra teorie di curve aperte sul lago. Somigliano a fazzoletti disposti in confusione, chiazze che si fronteggiano appena sotto i monti.
Non diversamente desiderai la promessa.
Scrissi ad un amico e lui rispose che era possibile; venni, desiderai di restare.
I giorni succedettero ai giorni, vuoto raccolto intorno al lavoro, il ristorante, la stanza in affitto stretta nello spazio.
Paolo dice che siamo passanti anonimi, individui chiamati a sopportare gli squilibri del sistema.
Ha bisogno di braccia, dice, per esistere, gente acquistata indirettamente pronta ad accettare per cambiare, costruire.
Discutiamo spesso la sera dopo il lavoro e il ristorante.
Parliamo di donne e di problemi; parliamo di nostalgia.
Quanta gente, senza nome, realtà di un numero immenso emigra in cerca di lavoro.
Gente di Calabria e di Lucania ma non solo del Sud parte con dentro la speranza di trovare un luogo possibile: una valigia, la forza delle braccia, l’ingegno al servizio di sistemi diversi.
Simile a carne che si sposta questo è l’emigrante, accettato, cacciato, raramente trova una teoria capace di raccontarne l’esistenza.
L’emigrazione è un problema di tutti, una vergogna sociale fatta d’alienazione, malessere.Decisi questa raccolta durante un viaggio in Puglia, a Specchia, un paese prossimo all’estremo dove il Mediterraneo si unisce allo Jonio.
Le case basse e bianche, geometricamente disposte ai lati della strada lunga che ad un estremo porta verso l’interno e all’opposto indica il mare, ricordano paesaggi che hanno il sapore dell’oriente.
Abitavo in via Colonnello di Giovanni, vicino alla fontana, meta serale di un chiacchierio sommesso, quasi religioso, di donne e brocche testimoni d’una realtà immutabile.
Una collina bassa e lunga separa il paese dal mare che è, nella stagione estiva, di un blu intenso; brillante e chiaro sotto il sole del mezzogiorno.
La terra bruciata, i fichi d’india appena oltre i muretti disegnano, insieme alle case bianco calce e gli ulivi, un nàif selvaggio di colori vivi, parlanti, che assumono, nell’insieme, personalità propria tanto sono staccati e diversi.
Quell’estremo lembo di terra a cavallo tra due mari anticamente governato dai baroni e dalla Chiesa è oggi un serbatoio di braccia che sanno lavorare.
Quella realtà povera, lunga da raccontare, quel paese fatto di donne, di vecchi e di bambini; abbandonato dagli uomini e che viveva per le rimesse di quelli è simile ad altri luoghi d’un Sud dimenticato dallo Stato che fa parlare ed affanna.



Luino, luglio 1974

(Il racconto trovò ospitalità nella pagina dei frontalieri de “Il Giornale” diretto da Indro Montanelli. Siamo nel 1974)

Io non so


Quel luogo che sta nella mente fatto di fantasia ed aspirazioni incompiute al quale s’accede in momenti particolari e subito porta alla giovinezza è un insieme d’immagini sovrapposte e diverse nella sostanza; appuntamento comune con se stessi diventa, per l’emigrante, la terra promessa.

Io non so, adesso, dove sta la terra degli emigranti, se esiste o è un luogo della fantasia. Succede che questo andare verso direttrici diverse dalla logica rende improbabili i concetti.
Non bisognerebbe sprecare le risorse naturali: gli ettari che restano incolti, le braccia capaci di trasformare, di costruire.
Questa quantità che è una qualità sempre considerata eccedente è il simbolo di due Italie.
Una spinta verso il presunto miracolo economico, l’altra lasciata, per la prima, nella continua arretratezza.
Treni lunghissimi correvano, negli anni ’60, dal sud verso il nord, verso le pensiline delle città industriali d’Europa.
Portavano uomini tristi per quella realtà dipendente, senza proprietà, portatori necessari del sistema.
Aldo dice che non bisogna emigrare. “Bisogna restare e lottare” dice “ ma come fai se non c’è niente”.
Bruno e scuro di carnagione, giovane e robusto, calmo, abituato a girare il mondo e a non stupirsi di nulla, è uno degli immigrati italiani che a Zurigo lavora nelle imprese edili
“A Carlantina non c’è niente” aggiunge mimando con le dita.
“qualcuno trova lavoro a Foggia ma a Carlantina c’è solo disoccupazione”
Zurigo cerca lentamente di cambiare: gli edifici vengono abbattuti e ricostruiti, l’autostrada disegna tangenti aeree sulla periferia.
Ogni cosa sta a suo posto, qui, e recita un copione scontato:
“Nessuno esce dalle strisce pedonali, nessuno getta carta in terra”.
La mentalità pigra e materialista del luogo presenta aspetti dolci e brutali che forse la natura a comunicato agli abitanti.
Ognuno sta a suo posto, qui: gli indigeni organizzano, gli immigrati lavorano.
“Il sudore non convince questa gente” racconta Aldo “abbiamo il diritto di lavorare insieme all’umiliazione d’essere appena sopportati”.
A quest’ora del pomeriggio il “Caravelle Tea Room” è deserto. Gli italiani arrivano più tardi, alla spicciolata, dopo le partite di calcio, prima della messa vespertina.
La Missione Cattolica sta, infatti, ad un isolato dopo la curva a gomito nel cuore del quartiere italiano.
“Loro pensano all’economia” aggiunge Aldo” “ e alla produzione, pensano che dobbiamo ringraziarli per il lavoro e tutto sommato hanno ragione. E’ il Governo italiano che deve difenderci,che deve impedire la disoccupazione”
Aldo ha lasciato Zurigo: è stato licenziato.
Gli hanno detto che l’impresa non può mantenere gente incapace e chiacchierona ma lavoratori appassionati e produttivi.
Lui, il chiacchierone è partito. A Carlantina potrà muoversi liberamente.
Non ci sono strisce pedonali, infatti ma poche strade e una piazza stretta tra le case in sasso.

mercoledì 11 luglio 2007

Madonna degli orti



Cercai di rimediare
alla famiglia distrutta
dicendo a me stesso
che dovevo lottare.
.
Girai intorno:
“non c’è lavoro”, dissero.
Terra amata…
.
Partito Emanuele,
andata mia madre,
partirono gli amici:
dovevo andare.
.
Stavo tra quattro case
“Madonna degli orti”,
la chiamano:
Madonna d’emigrazione

Prima di cena ( frontiera )


Passo un’ora prima di cena
dopo un giorno oltre frontiera.
Se scendo è buio
e l’orizzonte inquadrato
racconta una teoria di luci disperse:
i confini del lago.
Il corpo assapora momenti di pace
ma ogni cosa rientra
nella solitudine.
Ci vorrebbe una donna per cambiare il discorso,
per riempire la casa ed accenderla
ma giù, a quest’ora, dopo un giorno oltre frontiera
resta solo chi gioca a carte.
Dovrei uscire per cercare
ma non escono le donne di famiglia la sera.
Resta il flipper, il biliardo,
i soliti che al bar
raccontano il fatto del giorno.
Viviamo per andare oltre frontiera
spinti da un male incurabile:
il bisogno

Il focolare



Il focolare che mi ha generato
fatto di miele e di rosa
e canzoni raccontate
nelle sere d’inverno
sta nelle strade e nelle piazze;
sui davanzali delle case
dove la gente raccoglie
i frutti del passato.
(1975)

L'odore del pane





La gente non mangia l'odore del pane
(1973)

Desideri lontani





L’ansia scontenta
l’incredulità e l’amarezza
sono l’abitudine alle storie di sempre.
Preghiere furtive
salgono
insieme a lacrime
accecato
da fuochi ormai spenti….




(1973)

martedì 10 luglio 2007

Sperduto






Io
nel mondo
tra un pullulare di vele
su onde fuggenti
simili a volti
di giovani donne
cerco
una nuvola dolce
capace d’adombrare
le mie notti insonni.

Un uomo muore
vacillando
e nessuno tende la mano
per salvarlo.



( Marzo del 1971 )

Frontiera



Tutta la poesia è finita,
un giorno d’ottobre,
freddo;
oltre le valli di frontiera
licenziavano.
Che cosa potevamo fare,
noi ...?
Potevamo restare fedeli,
le valigie pronte,
diverse,
diversi noi stessi,
uomini
ormai difficile
da uccidere dentro.




(1974)

Piediluco 1981




Ai piedi del bosco sacro,
nello stretto lembo di terra
tra il lago e il monte
e coste irregolari
come nei laghi alpini
barche addobbate a festa
sfilano notturne
illuminate
da giochi pirotecnici
Endecasillabi perfetti
trasportati dall’eco
tornano alla rocca diruta
superba ed imponente.
M’addormento sereno.

domenica 8 luglio 2007

Madonna degli orti





Cercai di rimediare
alla famiglia distrutta
dicendo a me stesso
che dovevo lottare.

Girai intorno:

“non c’è lavoro”, dissero.

Terra amata…

Partito Emanuele,
andata mia madre,
partirono gli amici:
dovevo andare.

Stavo tra quattro case
“Madonna degli orti”,
la chiamano:
Madonna d’emigrazione


(1972)

sabato 30 giugno 2007

Preghiera



Non è tempo di favole, questo.
Oppure si, come sempre, se Dio lo consente.
Posso, Signore mio Dio immenso e grande ricominciare a sognare?
Posso volare oltre le valli e i monti
e ancora i monti
e scendere oltre il ponte nel regno della fantasia?
Non “voglio lottare” con Te, mio Dio
e poi sei Tu che mi hai dato un dorato talento.
Non fare di me la cicala che muore all’inizio dell’inverno.
Che spreco sarebbe …?!
Facciamo un patto.
Ecco:
scrivo per Te…
ma ho bisogno di ritrovare la serenità, la pace, la salute.
Ho bisogno di ritrovare quello che Tu, Signore mio Dio
hai permesso che mi fosse tolto,
quando ero giovane e sognavo.
In fondo sognavo di Te e tra la gente e le cose cercavo il Tuo amore.
Ecco:
torno a scrivere di Te perché Tu che mi vuoi bene,
lo so che mi vuoi bene,
metti ordine
e mi “restituisci” lo spirito degli anni;
la forza della vita,
il gusto di guardare alla gente e alle cose con l’amore di un tempo;
la capacità di disegnare il volo di una foglia che cade
o la bellezza di un filo d’erba che si alza, festoso, nel campo.

(2003)



Santa Teresa di Lisieux




"Mi sono chiesta a lungo perché il Buon Dio facesse delle preferenze, perché tutte le anime non ricevessero un uguale grado di grazie; mi stupivo vedendolo elargire favori straordinari ai Santi che l'avevano offeso, comesan Paolo e sant'Agostino e che Egli costringeva, per così dire, a ricevere le sue grazie; o leggendo la vita dei Santi che Nostro Signore si è compiaciuto di coccolare dalla culla alla tomba, senza lasciare sul loro cammino alcun ostacolo che impedisse loro di elevarsi verso di Lui, e prevenendo queste anime con favori tali che non potevano fare a meno di conservare immacolato lo splendore della loro veste battesimale, mi domandavo perché i poveri selvaggi, per esempio, morivano così numerosi prima di aver solo sentito pronunciare il nome di Dio...Gesù si è degnato di istruirmi su questo mistero, ha messo davanti ai miei occhi il libro dellanatura, e ho capito che tutti i fiori che ha creato sono belli, che lo splendore della rosa e il candore del Giglio non cancellano il profumo della piccola violetta o la semplicità incantevole della margheritina... Ho capitoche se tutti i fiorellini volessero essere delle rose, la natura perderebbe il suo manto primaverile, i campi non sarebbero più smaltati di fiorellini...Così accade nel mondo delle anime che è il giardino di Gesù. Egli ha voluto creare i grandi Santi che possono essere paragonati al Giglio e alle rose, ma ne ha creati anche di piccoli, e questi devono accontentarsi di essere delle pratoline e delle violette, destinate a rallegrare lo sguardo del Buon Dio quando lo abbassa ai suoi piedi; la perfezione consiste nel fare la Sua volontà, nell'essere quello che Lui vuole...
Ho capito anche che l'amore di Nostro Signore si rivela tanto all'anima più semplice, che non oppone alcuna resistenza alla sua grazia, quanto all'anima più sublime; infatti, dato che il gesto più proprio dell'amore è di abbassarsi, se tutte le anime assomigliassero a quelle dei Santi dottori che hanno illuminato la Chiesa con lo splendore della loro dottrina, il Buon Dio non scenderebbe abbastanza in basso giungendo fino al loro cuore; ma Egli ha creato il bambino che non sa niente e fa sentire solo deboli grida, ha creato il povero selvaggio che è guidato solo dalla legge naturale ed è fino al loro cuore che Egli si degna di abbassarsi, sono proprio questi i suoi fiori di campo la cui semplicità lo rapisce... Discendendo in questo mondo il Buon Dio mostra la sua grandezza infinita.
Come il sole rischiara sia i cedri sia ogni fiorellino, come se esso fosse l'unico sulla terra, così Nostro Signore si occupa in modo particolare di ogni anima come se essa non avesse uguali; e come in natura tutte le stagioni sono regolate in modo da far sbocciare, nel giorno stabilito, anche la più umile margheritina, allo stesso modo tutto concorre al bene di ogni anima".
.
Tratto da: "Storia di un'anima", di Santa Teresa di Lisieux
.

"Una sera, non sapendo come dire a Gesù che lo amavo e quanto desideravo che fosse amato e glorificato dovunque, pensavo con dolore che dall'inferno non avrebbero mai potuto ricevere un solo atto d'amore, allora dissi al Buon Dio che per fargli piacere avrei ben acconsentito a vedermici immersa, perché egli fosse amato eternamente anche in quel luogo di bestemmia...
Sapevo che questo non lo poteva glorificare, perché Egli desidera soltanto la nostra felicità, ma quando si ama si prova il bisogno di dire mille follie.
Parlavo in questo modo non perché non desideravo il Cielo, ma allora il Cielo per me era solo l'Amore e come san Paolo sentivo che niente poteva separarmi dall'oggetto divino che mi aveva rapita!..."
.
Tratto da: "Storia di un'anima", di Santa Teresa di Lisieux
.
Santa Teresa di Lisieux


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giovedì 28 giugno 2007

6 febbraio 1954 - Il muro

' Il passato è passato ' dice Ileana ' bisogna guardare al futuro ' Ma come si può guardare al futuro senza tener conto del passato? In effetti, quello che è stato di ciascuno di noi appartiene alla "sfera" del passato. E una data emerge, dolorosa, determinate, una data che vorresti cancellare ma non puoi; una nota stonata che scompone lo spartito della vita ……un terremoto …….. quello che poteva essere e non è stato.
***
6 febbraio 1954 - Il muro (morte del partigiano Luciano)
Ridevo e saltavo sul letto sorpreso dal via vai dei parenti che attraversavano la stanza diretti nella camera di mio padre. Passavano in silenzio mentre io saltavo sul materasso, i volti in processione, pensosi e muti: gli zii, le zie, i cugini, i nonni. Della notte, di quella notte ricordo il silenzio ed io che ridevo. Mio padre era morto e non lo sapevo. Saltavo e ridevo in attesa di mia madre che sempre accorreva preoccupata ad interrompere il gioco. Quella notte mia madre non venne a dirmi: fermati! Vuoi romperti l’osso del collo? La nonna diceva che ero un bambino troppo vivace; che avevo il verme solitario così, quando mi sgridava pensavo al verme che avevo dentro, da qualche parte ma non si vedeva.
Quella notte mia madre non venne a minacciare il verme, a riassettare amorevolmente le coperte e spegnere la luce. Da quella notte la poesia scandisce il mio tempo. Racconta, accompagnandoli, i giorni che si susseguono. Racconta della nonna, della casa appena sotto la torre. Di quello che eravamo, noi, davanti al focolare nelle sere d’inverno; di mia madre e delle nostre migrazioni, di quello che eravamo, che poteva essere e non è stato. Smisi di essere un bambino vivace che saltava ridendo sulle coperte e faceva impazzire la nonna. Per chi entra dalla piazzetta dell’erba, all’inizio di via del Trivio c’è un muro; un bastione messo per trattenere la soprastante via Cecili e il Chiostro di San Nicolo. Di lì passava mio padre tornando dal lavoro. Quel muro, improvvisamente mi sembro altissimo; una barriera insuperabile come quei giorni e quelli che sarebbero venuti. Volevo superare quel muro e tutti quelli che sarebbero venuti. Lo avevo promesso….. avevo promesso a mia madre:
“Non ti preoccupare ……………………………..”
Avevo sei anni.
Non avrei più visto mio padre tornare dal lavoro costeggiando il muro di Via del Trivio.

martedì 26 giugno 2007

Narciso





C'è una sera

sul fosso dell'acqua

dove io, bambino,cammino

verso lo specchio delle aspirazioni.

Narciso,

avevi l'odore dei giorni d'estate

messi in processione

davanti all'autunno.
(1974)

Pagine - Il mio libro di bordo







"Ho vissuto la vita…. qualche volta seduto, qualche volta in piedi, qualche volta ho goduto, qualche volta a bocca asciutta ma sempre con grande piacere…" (Piero Chiara)

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Premessa

Pagine è un libro di bordo.E’ la storia di un andare di terre in terre. Nostalgia delle partenze e degli arrivi; dei ritorni a casa : nel bagaglio sempre qualcosa di nuovo.
Appunti di viaggio, notazioni; la memoria che ferma le immagini, i sapori, il vissuto.
Pagine prosegue. Non è un vero diario, ma la premessa per raccontare quello che siamo stati, noi, in anni difficili ma bellissimi.
Ricostruire un ambiente è come dipingere un quadro .... e Pagine, il mio libro di bordo, è la cornice.
È la storia di un sogno… e sognare è vivere e vivere è amare.

I sogni richiedono fatica ….. amare disponibilità all’incontro.

“Amare gli alberi, il tram che sferraglia, gioioso, sotto casa, le anatre del lago, il freddo, la neve che cade abbondante, la luce dei lampioni che illumina la notte, Uscire e mescolarsi tra la folla……quando torna primavera …”

“L'amore è sempre nuovo. Non importa che amiamo una, due, dieci volte nella vita: ci troviamo sempre davanti a una situazione che non conosciamo.
L'amore può condurci all'inferno o in paradiso, comunque ci porta sempre in qualche luogo.
E' necessario accettarlo, perchè alimenta la nostra esistenza.
Se non lo accettiamo, moriremo di fame pur vedendo i rami dell'albero della vita carichi di frutti: non avremo il coraggio di tendere la mano e di coglierli.
“Pagine è la storia di un sogno e di un amore.La storia di una battaglia a lungo pianificata, combattuta in campo aperto con le sue sconfitte e vittorie.
A volte, succede al vecchio di Hemingway, rimani con lo scheletro del grande pesce… e il pesce era il sogno di una vita.
I sogni richiedono fatica … oggi ho presentato la cornice… domani ….forse…. il grande pesce.
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Pagine, il mio libro di bordo



Basso di statura, robusto, i capelli di un castano chiaro, leggermente brizzolati , don Arnaldo è, negli anni sessanta e settanata, il responsabile della Missione Cattolica Italiana di Zurigo.
Se vivi in terra straniera, in un luogo di missione, il campanile, la chiesa, diventano il porto dove attraccare la barca quando non sai dove andare. Grazie a don Arnaldo l’integrazione a Zurigo fu rapidissima e in breve tornai a vivere i miei anni.
Certo sarebbe bello raccontare di noi, del gruppo di giovani che cresceva velocemente intorno alla missione, descrivere i problemi, gli amori, i sentimenti, gli ideali, la strada che ognuno avrebbe preso.
Essere cattolici, negli anni sessanta a Zurigo, in terra protestante. Vivere la propria identità e cercare negli altri, in cio che è diverso da te, il meglio.
Dire: ti amo era facile a Zurigo.
Amare gli alberi, il tram che sferraglia, gioioso, sotto casa, le anatre del lago, il freddo, la neve che cade abbondante, la luce dei lampioni che illumina la notte, Uscire e mescolarsi tra la folla……quando torna primavera …
Trovai un lavoro come apprendista alla Shoeller und Co, un lanificio tra i più grandi d’Europa , situato sulla Hartumstr, alla periferia nord della città dove la Limat, il fiume, si allarga in un’ampia ansa. Un complesso di grandi dimensioni costituito da più edifici dalle caratteristiche omogenee. Intorno all’opificio, appoggiate alla collina, le case per i dipendenti, una vera e propria cittadella. Gli stipendi erano, rispetto ad altre aziende , bassi ma godevi della casa e dei servizi presenti nella cittadella. Poco distante, proseguendo la Hartumstrasse, i campi sportivi e lo stadio del Grassoper la squadra di calcio più importante della Svizzera.
All’inizio fui utilizzato come apprendista nella tintoria, un’impianto con numerose vasche per il lavaggio e la tintura a caldo delle lane. Affiancavo un operaio italiano originario delle puglie. Non era difficile.
Non riesco, adesso, a ricostruire il ciclo produttivo. Il lavaggio delle matasse di lana cardata avveniva in grandi vasche. La lana immersa nell’acqua calda veniva ripulita con l’immissione di acido prima di procedere alla tintura.
Terminato il periodo di ambientamento e prova venni trasferito nel reparto filatura con compiti di assistenza . Un reparto composto da donne di origine greca e turca, Un misto di lingue che non mi impedì di comunicare e svolgere il mio lavoro. Kalimera, …. Kalispera .. . Furono le donne ad insegnarmi il mestiere.
Il lavoro prevedeva la turnazione, 15 giorni al mattino, dalle 5 alle 14 e 15 giorni fino a sera, dalle 14 alle 23. Avevo acquistato una bicicletta usata e con quella raggiungevo la fabbrica con ogni tempo e in ogni stagione. Il 1966 fu un inverno molto rigido. Una mattina , intorno alle 4 e 30, sotto casa il barometro della farmacia segnava – 21 gradi . Non avevo freddo e con la mia bicicletta raggiunsi, come sempre, la fabbrica che si trovava all’altro capo della città. C’era la neve. Preferivo il turno del mattino che mi consentiva di frequentare la missione mentre quello della sera di studiare, disegnare, leggere. Ero indipendente e progettavo di riprendere gli studi.
Grazie alla Missione Cattolica sono anni belli. C’è il rammarico per gli studi ma torno a vivere i miei anni, a progettare, ad avere fiducia. La Missione diventa il mio ambiente, la nuova famiglia....Entro in un gruppo che si stava formando composto da giovani donne che sono ancora nel cuore e nella mente. Avevamo poco più o meno di 16 anni. Fu grazie alle ragazze che il gruppo potè cementarsi. Divenimmo inseparabili.Quindi gli altri, quelli arrivati in Missione prima di noi. Giovani appena più grandi. Veneti, Friulani, Lombardi, Svizzeri del Canton Ticino.
Le immagini si sovrappongono e portano la gioia degli incontri, le gite; di quella volta che insieme, andammo sull’Uetliberg. Uetli è’ il punto più alto e panoramico di Zurigo. Prendemmo, a Selnau, il treno di montagna con la guida a gramaglia che scatta e consente di salire fin quasi la vetta posta intorno ai ‘900 metri.Il succedersi dei boschi, il lago che si apre lentamente e, arrivati in cima la terrazza panoramica: la vista dei monti che circondano Zurigo e veloci corrono verso la vicina Germania.
Adriana, la più giovane del gruppo, era alle prime uscite. Parlava un italiano stentato. Era dolce Adriana. Tornammo a piedi, all’imbrunire, lungo un sentiero sconnesso, ripido che attraversava veloce i boschi fino alle prime case e alla stazione di Selnau. Eravamo felici. Il pranzo al sacco, il girovagare sulla cresta dell’Uetliberg, i giochi, i profumi e gli odori di un giorno d’estate.
Ogni anno la Missione organizzava un pellegrinaggio ad Einsiedeln, al Santuario di N.S. degli eremiti, la miracolosa Vergine nera.
Il Santuario della Madonna nera di Einsiedeln ha una storia che merita un breve cenno. Intere comunità, seguendo i deliberati della assemblee cittadine, passavano alla Riforma e le principali cattedrali mariane presenti nella Svizzera vennero occupate dai protestanti che avevano in Zwingli, a Zurigo e in Calvino a Ginevra i loro massimi esponenti (siamo nel 1500). Il passaggio alla Riforma comportò la distruzione degli altari e delle immagini sacre; un periodo buio che mise in forse la sopravvivenza del cattolicesimo.. Nonostante la forza dei riformisti, i cattolici riuscirono a difendere alcune posizioni e a stabilire la propria egemonia in Canton Ticino. Durante la riforma protestante l’Abazia benedettina di Einsiedeln, fondata al termine del primo millennio, rappresentò in Europa un baluardo della cattolicità .
Ho brevemente tratteggiato un periodo della storia della Svizzera per dare significato al nostro essere cattolici a Zurigo.
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Al mattino passavo il tempo a leggere e a studiare. Matematica, fisica; i libri di lettere e filosofia scelti senza una guida, ……. il disegno, i pastelli… ero bravo.
La passione per il disegno non era una novità ma una dote emersa sui banchi di scuola. Ed ero bravo, di gran lunga il migliore.
A Zurigo uscivo di casa con le matite, i fogli, i pastelli e il carboncino per ritrarre i fiori, le foglie, i paesaggi, la bottega del fruttivendolo, gli alberi e i viali del Rieter Museum. Ero in grado di rifare, a carboncino, a matita, con i pastelli i dipinti di artisti famosi e, spesso correvo fino al Kunsthaus, il Museo, per visitare le sale, studiare la luce, le armonie .., i colori, le ombre .. nei quadri .
Ero affascinato dal mondo della fisica, dallo studio dell’infinitamente piccolo cioè alla teoria quantistica, la base ultima sulla quale si regge l’intero universo microscopico delle particelle e, indirettamente, a tutto quanto noi possiamo vedere, udire, toccare. In tutto questo ritrovavo facilmente Dio. Studiare per comprendere l’armonia della natura e il mistero della vita. Studiare e comprendere le leggi che regolano l’universo minimo significava, pensavo, comprendere l’universo stesso di cui siamo una infinitesima parte. Andare oltre la dimensione osservabile e indagare. Giorno dopo giorno elaboravo il mio futuro quello che volevo fare, che avrei fatto.
Come fare?!
Discutevo di futuro con Riccardo che voleva studiare medicina ma non aveva ne i mezzi ne gli studi per iscriversi all’università. Era difficile per noi, a quei tempi, giovani immigrati senza appoggi immaginare il futuro.
La città offriva molte opportunità di lavoro non strutturato. Al mattino potevi portare i giornali di casa in casa ed eri subito libero. Potevi, saltuariamente, trovare impiego alle poste o alla stazione centrale; fare il benzinaio, il fornaio. Esisteva tutta una serie di lavori che, con un po di fortuna, ti permettevano di guadagnare per vivere e di trovare il tempo per studiare.
Riccardo che aveva frequentato le scuole a Zurigo parlava perfettamente il dialetto zurighese diversamente da me che cominciavo ad esprimermi ma avevo bisogno di tempo. Studiavo il tedesco ma non bastava ed avevo fretta. Potevo scendere in Canton Ticino ma dove?! Un bel problema! Ne parlavo con Riccardo che era più giovane di me ed ascoltava.
Continuavo ad uscire con Marisa e le altre. Marisa poteva aiutarmi con la lingua ma non ero pronto per un rapporto profondo che ti cambia la vita. Marisa mi voleva bene, mi avrebbe aiutato, consigliato, sposato la mia causa. Potevo farlo, potevo imbrigliare nei miei progetti la vita di un’altra persona?! Non potevo.
Il percorso era duro e lungo. …………. una scala, ripida, che saliva fino ad una porta. Aprire quella porta era l’obbiettivo che volevo raggiungere , gradino dopo gradino, verso il futuro immaginato, lungamente sognato, scelto.
Arrivò Natale e poi capodanno. Le Barizzi organizzarono una festa nella loro casa, un villino posto in cima allo Zollikerberg, una località situata alla periferia a sud- est di Zurigo.
Da Bellvueplatz, uno dei più importanti nodi stradali, sulla sponda destra della Limat dove il fiume defluisce dal lago, si prende il tram che porta a Rehalp e da lì, proseguendo lungo la Frochstr., passando per Waldburg, si sale fino all’abitato di Zollikerberg. Eugenio, Nicolino, Riccardo…. Marisa, Giovanna, Adriana, Maria Silvia, Iris, Rosenmary. C’era anche Ornella che, solitamente non faceva parte del nostro gruppo.
I genitori di Adriana e di Marisa nel salotto e noi nello scantinato trasformato in sala da ballo. Ricordo la musica, Adriana che cercava le canzoni di Adamo, l’allegria, i giochi in attesa della mezzanotte. La neve era caduta abbondante.
A mezzanotte le ragazze decisero di uscire per una passeggiata nel bosco. Il padre di Adriana mi prese da parte e mi disse: “mi raccomando, che non accada nulla” e mi affidò sua figlia. Tornammo, io e gli altri giovani, a Zurigo a piedi … attraverso il bosco ….
Zollikerberg
E a te che penso /lungo la strada che scende,/ fredda, / attraverso il bosco, /le luci della notte. / Le cose che ho, / che non ho, / che vorrei avere per dare/ L’amore che cerco, / che non ho, / che vorrei avere per amare / Dire: “ti amo”/ a te che ascolti.. / E’ solo illusione / il sogno che ho fatto / lungo la strada che scende.
Sto per lasciare Zurigo. E’ una scelta ragionata se scelta si può chiamare quella di uno che non ha nulla per scegliere tranne i suoi anni. Volevo concludere gli studi liceali. Affamato di saperi, progettavo l’Università .Era una sfida che intendevo vincere e come avviene per le grandi battaglie avevo un piano lungamente pensato, studiato, meditato.
All’inizio del 1967 lascio la Scoeller und co ma resto a Zurigo fino ai primi di maggio. Libero da impegni passo mesi bellissimi. Amavo mescolarmi tra i giovani che trovavi. sempre numerosi, in riva alla Limat in prossimità di Belvue; un crocivia di lingue che erano musica. Ero vivo e felice di esserci.
NbA Zurigo, oggi, sulla Jungholzstrasse, c’è il Liceo italiano …Quello che fu negato alla mia generazione è oggi possibile

giovedì 12 aprile 2007

Auguri ! (come Pereira)



Spoleto, 27 dicembre 2006


La nebbia bagna le strade e i vicoli stretti che ogni mattina percorro per raggiungere la radio.
Salgo a piedi e scendo.
Attraverso la piazza, passo davanti al tribunale e raggiungo l’edicola.
Gli stessi passi ogni giorno, ogni mattina.
L’umidità entra nelle ossa e mette disagio. Il cardiologo, che ho sentito nel pomeriggio, dice che sto bene, che posso allenarmi per la maratona di New York.
A me non risulta e riprendo le mie strade e i vicoli bagnati, umidi di nebbia.
A casa accendo il camino e riprendo la lettura di “Sostiene Pereira”…. Lisbona, agosto del 1938, la solitudine, il sogno ….. è veramente bello. Bravo Tabucchi.
Leggo …apro la mente al sogno delle parole che seguono i pensieri e subito mi ritrovo.
Sento dentro il bambino e le sue fantasie … scorro le pagine … mi fermo …sospendo la lettura e lascio vivere i pensieri …. immagino Marta ……una via di uscita…
Questo Pereira un pò mi somiglia….
Vorrei andare a Lisboa e poi a Fatima… lo desidero da tanto.
Apro il Pc e una grandine di mail accende la sera.
Auguri … auguri…. auguri….di amici che non vedo da anni donano luce al mistero del Natale consegnando la memoria e l’immagine del tempo che passa.
In umiltà aggiungo i miei pensieri :
….. Che la rievocazione della discesa del Figlio di Dio sulla terra sia per tutti fonte di gioia e di speranza per ogni giorno della vita.
Felicità, salute e pace. Parole d’amore accendano i giorni … tutti i giorni… ad Multos Annos !



martedì 3 aprile 2007


Amo il silenzio… lo cerco con insistenza …
Nel silenzio ascolto il tempo che scorre, gli odori, i sapori, il tanto o il niente lontano dai passi. Un refolo di vento…
Amo il silenzio … lo cerco e lui mi trova memoria dell’Assoluto e del mistero della vita.










Pëtr Il'ič Čajkovskij
Concerto per pianoforte e orchestra No. 1, primo mov.
al piano Martha Argerich
direttore Charles Dutoit, Orchestra della
Svizzera Romanda

Ginevra - 24 ottobre 1973