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6 febbraio 1954 - Il muro
(morte del partigiano Luciano)
Ridevo e saltavo sul letto sorpreso dal via vai dei parenti che attraversavano la stanza diretti nella camera di mio padre.
Passavano in silenzio mentre io saltavo sul materasso, i volti in processione, pensosi e muti: gli zii, le zie, i cugini, i nonni.
Della notte, di quella notte ricordo il silenzio ed io che ridevo.
Mio padre era morto e non lo sapevo. Saltavo e ridevo in attesa di mia madre che sempre accorreva preoccupata ad interrompere il gioco.
Quella notte mia madre non venne a dirmi: fermati! Vuoi romperti l’osso del collo? La nonna diceva che ero un bambino troppo vivace; che avevo il verme solitario così, quando mi sgridava pensavo al verme che avevo dentro, da qualche parte ma non si vedeva.
Quella notte mia madre non venne a minacciare il verme, a riassettare amorevolmente le coperte e spegnere la luce.
Da quella notte la poesia scandisce il mio tempo. Racconta, accompagnandoli, i giorni che si susseguono. Racconta della nonna, della casa appena sotto la torre.
Di quello che eravamo, noi, davanti al focolare nelle sere d’inverno; di mia madre e delle nostre migrazioni, di quello che eravamo, che poteva essere e non è stato.
Smisi di essere un bambino vivace che saltava ridendo sulle coperte e faceva impazzire la nonna.
Per chi entra dalla piazzetta dell’erba, all’inizio di via del Trivio c’è un muro; un bastione messo per trattenere la soprastante via Cecili e il Chiostro di San Nicolo. Di lì passava mio padre tornando dal lavoro.
Quel muro, improvvisamente mi sembro altissimo; una barriera insuperabile come quei giorni e quelli che sarebbero venuti.
Volevo superare quel muro e tutti quelli che sarebbero venuti. Lo avevo promesso….. avevo promesso a mia madre:
“Non ti preoccupare ……………………………..”
Avevo sei anni.
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